La conservazione a norma dei documenti ha assunto sempre più importanza negli ultimi anni. Scopriamo cosa succede in caso di mancata conservazione dei documenti.
Quali sono le reali conseguenze della mancata conservazione dei documenti digitali fiscalmente e non fiscalmente rilevanti? E cosa ci dice la giurisprudenza in merito?
Nell’ultimo ventennio, con la sempre più imperante trasformazione della società da analogica a digitale, si è sempre più sentito parlare di conservazione a norma dei documenti. Questo concetto non è rimasto immutato nel tempo, ma ha visto una trasformazione. Dalla c.d. “conservazione sostitutiva”, ovvero la conservazione dei documenti cartacei nata per “sostituire la carta” con copie informatiche di pari valore, si è passati alla “conservazione digitale”. Si tratta di quella tipologia di conservazione che consente di assicurare nel tempo la piena validità legale a un documento nativo informatico. Inoltre, conferisce a quest’ultimo l’efficacia giuridica equivalente a quella tradizionalmente riconosciuta al documento cartaceo
Negli ultimi anni, in particolar modo dopo l’introduzione obbligatoria della fatturazione elettronica (prima solo B2G e poi B2B/B2C) il concetto di conservazione a norma viene spesso associato solo a questi documenti. In realtà, la conservazione digitale non riguarda solo le fatture elettroniche, ma tutta la documentazione aziendale, sia essa fiscale sia essa amministrativa.
Quando conservare a norma?
Nel procedere con la conservazione digitale della documentazione amministrativa, quindi non fiscalmente rilevante, il CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale, D.lgs. 82/2005) stabilisce che la conservazione dei documenti informatici dovrà essere effettuata almeno una volta l’anno, a partire dalla data di formazione del documento.
Con la conservazione digitale dei documenti fiscalmente rilevanti, al contrario, dovranno essere rispettate le tempistiche richiamate dal DMEF del 17 giugno 2014. Esso regola la formazione, gestione e conservazione dei documenti fiscalmente rilevanti all’articolo 3, comma 3 dove si stabilisce che:
Il processo di conservazione di cui ai commi precedenti è effettuato entro il termine previsto dall’art. 7, comma 4-ter, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1994, n. 489.
Il termine di riferimento per procedere alla conservazione di tutti i documenti informatici fiscalmente rilevanti coincide con il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi e dovrà essere eseguita entro il terzo mese successivo al termine di presentazione della suddetta dichiarazione. L’ultimo intervento dell’Agenzia delle Entrate è rappresentato dalla risposta fornita con la Risoluzione n.46/E del 2017 che specifica:
Ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del D.M. 17.06.14 (che rinvia all’articolo 7, comma 4-ter, del D.L. n. 357/1994) la conservazione dei documenti informatici, ai fini della rilevanza fiscale, deve essere eseguita entro il terzo mese successivo al termine di presentazione delle dichiarazioni annuali, da intendersi, in un’ottica di semplificazione e uniformità del sistema, con il termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi.
Il punto di partenza per calcolare la data ultima utile per la chiusura dei processi di conservazione digitale è quindi rappresentato dal termine ultimo utile per l’invio della Dichiarazione dei Redditi.
Quando va inviata la dichiarazione dei redditi?
L’entrata in vigore della Legge n. 58 del 28 giugno 2019, che ha convertito il del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi, ha modificato i termini di invio della dichiarazione dei redditi, spostandola dal nono all’undicesimo mese:
b) al comma 2, le parole: «del nono mese» sono sostituite dalle seguenti: «dell’undicesimo mese».
Di conseguenza, i termini per l’invio della dichiarazione dei redditi passano da 9 a 11 mesi. Per le aziende con anno fiscale coincidente con l’anno solare, la conservazione digitale dei documenti informatici fiscalmente rilevanti deve quindi essere chiusa entro il mese di febbraio del secondo anno successivo.
Lo stesso non si può dire per tutte quelle aziende il cui l’anno fiscale NON coincide con l’anno solare. In questo caso, come precisa la Risoluzione 46/E sopra citata, i documenti rilevanti ai fini IVA andranno conservati entro il terzo mese successivo al termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile:
In caso di periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, i documenti rilevanti ai fini IVA riferibili ad un anno solare andranno comunque conservati entro il terzo mese successivo al termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile.
La Risoluzione chiarisce che i documenti fiscalmente rilevanti devono essere conservati in modo omogeneo, per anno solare. Tuttavia, il termine di scadenza si calcola a partire dalla data della prima dichiarazione dei redditi “successiva” all’anno solare oggetto di conservazione.
La conservazione digitale dei documenti fiscalmente rilevanti ha la durata di 10 anni (Codice civile, art.2210). Diventa perciò equivalente il termine di conservazione dei documenti nativi analogici con quello dei documenti nativi digitali.
La mancata conservazione dei documenti
Ad oggi non vi è giurisprudenza circa eventuali sanzioni, sia di carattere civile sia di carattere penale, sulla tardiva conservazione dei documenti, ovvero la conservazione che si concluda scaduti i termini stabiliti dalla legge. Caso differente riguarda, invece, la mancata conservazione, che prevede conseguenze di carattere probatorio, fiscale e penale.
I documenti fiscalmente rilevanti hanno un valore probatorio e dimostrano che quella determinata società/ente svolge secondo legge le proprie attività. Se tali documenti non vengono conservati tale valore decade. Il Codice civile all’articolo 2710 determina il carattere probante di tale documentazione:
I libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.
La mancata conservazione dei documenti fiscalmente rilevanti ha anche un rilievo fiscale in particolar modo tra le “Violazioni degli obblighi relativi alla contabilità” derubricate all’articolo 9 del D.lgs. 471/1997. Il comma 1 riporta che:
Chi non tiene o non conserva secondo le prescrizioni le scritture contabili, i documenti e i registri previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto ovvero i libri, i documenti e i registri, la tenuta e la conservazione dei quali è imposta da altre disposizioni della legge tributaria, è punito con la sanzione amministrativa da euro 1.000 a euro 8.000.
Le conseguenze della mancata conservazione dei documenti
Dal punto di vista penale, la giurisprudenza è in fase di definizione in ambito digitale. Non è ancora chiaro quali siano le conseguenze della mancata conservazione dei documenti digitali fiscalmente rilevanti. A oggi, il riferimento normativo preso a riferimento è l’articolo 10 del D.lgs. 74/2000 che mette sullo stesso piano la mancata conservazione dei documenti fiscali e l’occultamento/distruzione della contabilità:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evaderle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione del reddito del volume di affari.
Per quanto riguarda i documenti informatici non fiscalmente rilevanti, ovvero tutte quelle tipologie documentali che rientrano nell’alveo di quei documenti che le aziende/enti gestiscono, l’unica strada percorribile, essendo documenti nativi informatici, è quella della conservazione digitale a norma, necessaria per mantenere il valore probatorio e l’inalterabilità del documento nel tempo.